Danilo Prefumo, “il Fronimo”, aprile 2024
«Il giovane chitarrista di lingua italiana che, all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, avesse voluto saperne di più sulla storia del proprio strumento, avrebbe potuto acquistare nelle librerie un solo volume ad essa dedicato, il Profilo storico della chitarra di Carlo Carfagna e Alberto Caprani, edito per la prima volta da Bèrben nel 1966 e in seguito più volte ristampato. Le voci dedicate alla chitarra nei dizionari musicali dell’epoca, che meriterebbero un saggio a parte, contenevano d’altro canto modestissime indicazioni bibliografiche e rimandavano, perlopiù, a testi scritti in altre lingue. Si aveva quasi l’impressione che la letteratura informativa dedicata alla chitarra fosse completamente avulsa da quella incentrata sulla storia della musica in generale, e che i chitarristi-compositori del passato fossero vissuti e avessero operato in un mondo a sé, senza alcun contatto con tutti gli altri musicisti del loro tempo. Distinguere tra aneddoti privi di fondamento e realtà storiche accertate non era facile per nessuno, e la chitarra scontava, anche a livello musicologico, e non solo in Italia, un lunghissimo periodo di isolamento dalla vita concertistica “alta”. Però le cose erano in movimento e nel 1970 la celebre tesi di dottorato su Mauro Giuliani di Thomas F. Heck, di cui alcuni estratti furono subito pubblicati sul «Fronimo», offrì al mondo intero la prova provata che si poteva investigare e studiare il più grande chitarrista-compositore dell’Ottocento europeo con la stessa acribia critica, con lo stesso discernimento tra vero e falso, con la stessa scrupolosa fedeltà ai documenti che i musicologi professionisti riservavano a qualunque altro autore del passato e del presente, da Magister Perotinus a Stravinskij. Così anche la musicologia chitarristica si mise in moto e in settant’anni fece, letteralmente, passi da gigante; di questo lungo percorso «ilFronimo» è stato, in questi cinquanta anni o poco più, non solo il testimone più puntale e attendibile, ma anche uno dei protagonisti. Marco Riboni è il musicologo e chitarrista che, come studioso di Mauro Giuliani, più di tutti ha saputo raccogliere, in Italia, l’eredità culturale di Heck, scomparso nel 2021, dedicando al compositore pugliese studi, articoli e ricerche culminate nel corposo volume monografico pubblicato dall’Epos nel 2011. Allievo di Ruggero Chiesa, laureato alla Statale di Milano con Francesco Degrada, Riboni ha poi allargato del tutto naturalmente il suo campo di studi a un intero periodo della storia chitarristica – l’Ottocento – che molti interpreti e studiosi hanno per lungo tempo trascurato o considerato di poco valore musicale, e che ancora oggi continuano sovente a sottovalutare. Inevitabile dunque che i suoi interessi di musicologo si siano estesi anche a tutti quegli autori, noti e meno noti, che prima e dopo Giuliani hanno arricchito il repertorio dello strumento di una mole considerevolissima di opere – di qualità non sempre ineccepibile, certo, ma testimonianza inequivocabile della sua amplissima fortuna e diffusione europea. Se si vuole ricostruire un periodo storico, quale che sia il nostro interesse precipuo – arte, letteratura, musica – non ci si può limitare solo allo studio della produzione degli autori più importanti, ma occorre appuntare lo sguardo anche sui minori e perfino sui minimi: su tutti quelli, cioè, che hanno contribuito, con le loro opere, a creare il gusto di un’epoca, che è dato proprio dalla somma di tutte queste esperienze. Da questa sorta di sguardo trasversale è nato questo corposo volume di oltre 450 pagine, che non si incentra dunque su un solo autore ma segue lo svolgimento di un concetto – quello che noi chiamiamo oggi convenzionalmente “forma-sonata” – nell’ambito della produzione chitarristica sette-ottocentesca. Come ha scritto Cesare Fertonani nella Prefazione, “il volume non è un trattato di teoria della forma-sonata applicata alla musica per chitarra ma uno studio critico che, intersecando le prospettive della storia, dell’analisi e dell’estetica, ricostruisce la fenomenologia di un repertorio e la interpreta alla luce dei significati che esso assume oggi». Diviso in tre parti (La chitarra e la forma-sonata, Opere del Settecento e opere poco note dell’Ottocento, Opere dell’Ottocento) il libro analizza dunque le opere per e con chitarra intitolate Sonata (o comunque contenenti brani concepiti in forma-sonata) scritte grosso modo tra la seconda metà del diciottesimo secolo e la prima metà del diciannovesimo, dalle 12 Suonate op. 16 di Giacomo Merchi (1766) fino alla sonata manoscritta del tedesco Adam Darr (1821-1866), che come lo stesso Riboni segnala, è forse l’ultima sonata per chitarra scritta nell’Ottocento. Dopo, più nessun chitarrista della generazione romantica scriverà sonate per il proprio strumento, preferendo rivolgersi ad altri generi musicali. Si tratta dunque di ben 165 opere di 40 differenti autori, trattate e discusse con dovizia di esempi musicali e ricchezza di note e riferimenti. Nel fare ciò, tra l’altro, Riboni non si sottrae al giudizio di valore, che la musicologia odierna tende spesso a vedere come un peccato mortale, e non esita a dichiarare apertis verbis quando ritiene un brano riuscito ed efficace e quando no. Cosa ancora più importante e meritevole, Riboni dichiara fin dall’introduzione di voler rifuggire dall’opprimente e acritico austro-germanocentrismo che per quasi due secoli ha gravato come una specie di maledizione sugli studi musicologici relativi a tutta la musica scritta nel periodo del cosiddetto “stile classico” (i cui i limiti cronologici, assai variabili a seconda degli autori, spaziano grosso modo tra il 1780 e il 1820). «La civiltà musicale del periodo classico nel suo splendente fulgore», scrive Riboni, «diede vita a diversi stili classici e se è indubbio che quello viennese fu importantissimo (se non dominante), è altrettanto vero che esso di certo non racchiuse in sé tutte le varie tendenze stilistiche – classiche a loro volta – della medesima epoca». Parole inequivocabili, che implicano dunque un importante e benefico mutamento di prospettiva nell’affrontare una materia in cui la musicologia austro-tedesca, impregnata sovente di un forte nazionalismo a volte dichiarato, ma più spesso sottaciuto, ha sempre avuto un ruolo predominante. Ne consegue una lettura a 360 gradi su tutto il panorama chitarristico europeo, esaminato con obiettività, con profonda conoscenza dall’interno del materiale trattato e senza pregiudizi di sorta. Per fare ciò, Riboni ha anche scovato nelle biblioteche opere dimenticate e uscite dal repertorio. Certo la possibilità di accedere a molti archivi digitali rende oggi molto più facile di un tempo il compito di un ricercatore, ma è anche vero che se non si sa cosa cercare, difficilmente si trova qualcosa. Con la sua ricchezza di note e informazioni, il volume costituisce dunque un sussidio indispensabile per chiunque voglia conoscere ed eseguire – con piena consapevolezza storica – il repertorio sonatistico sette-ottocentesco per chitarra: ciò che per gli interpreti dovrebbe poi essere, sia detto per inciso, la conditio sine qua non per evitare il rischio di produrre solo delle note più o meno ben eseguite, ma il cui senso complessivo, se avulso dal loro contesto culturale e intellettuale, rischia inevitabilmente di sfuggire».
Massimo Rolando Zegna, “MusicPaper”, 18 marzo 2024
«Dopo l’importante lavoro monografico sulla figura e sull’arte di Mauro Giuliani (L’Epos, 2011 a tutt’oggi di riferimento e in corso di aggiornamento in vista della seconda edizione), Marco Riboni ha licenziato un altro fondamentale libro dedicato al mondo della chitarra classica. Nello studio confluiscono oltre dodici anni di lavoro compiuti su un argomento di grande importanza: ovvero quello che riguarda i rapporti tra la chitarra e la forma-sonata. Uno schema compositivo, quest’ultimo, che usualmente viene considerato in relazione a generi musicali quali quelli della Sonata per pianoforte, del Quartetto d’archi, e della Sinfonia. Dopo la Prefazione di Cesare Fertonani che illustra pregi e caratteri del saggio, nell’Introduzione Riboni definisce i criteri che hanno guidato il suo lavoro, e affronta con ampiezza d’orizzonti cronologici i temi dello stile classico e della forma-sonata. Di seguito, nella Prima parte si dedica alle composizioni del Settecento e quelle poco note dell’Ottocento. Per finire, nella Seconda si occupa dei lavori firmati da autori che hanno svolto un ruolo decisivo per il repertorio chitarristico dell’800: come Simone Molitor, Wenzeslaus Thomas Matiegka, Fernando Sor, Ferdinando Carulli, Mauro Giuliani e Niccolò Paganini. In totale sono prese in considerazione ben 165 opere (individuate con grande perseveranza, essendo le loro fonti sparpagliate nelle biblioteche di tutto il mondo) concepite da 40 autori raggruppati secondo le loro nazionalità. Lavori per chitarra sola, o comunque nei quali l’eventuale presenza di un altro strumento è esplicitata ad libitum dall’autore stesso, o altresì resa non indispensabile dalle convenzioni esecutive dell’epoca. Nella Premessa, Riboni scrive dei luoghi comuni legati alle parole «chitarra» e «forma-sonata diffusamente trattate come un ossimoro, specificando che da sempre «la chitarra ha incarnato nella musica il fascino della libertà, del sentimento, dell’istinto espressivo: legioni di poeti, scrittori e pittori l’hanno sempre presentata come il trionfo della soggettività umana, della fantasia artistica e della lieta gioventù. La forma-sonata, al contrario, è considerata quanto di più accademico, serioso e oggettivo possa esistere: decine di trattati e manuali branditi da severi insegnanti di armonia e composizione nelle austere aule dei conservatori ne hanno sempre celebrato il dogma normativo, assoluto e inderogabile». Lo studio di Riboni è rivelatorio per molteplici ragioni. Evidente, ad esempio, è come chiarisca che a partire dalla seconda metà del ‘700 sino a ‘800 inoltrato la chitarra si sia progressivamente costruita una sua ben chiara, dinamica, importante e tutt’altro che sparuta posizione nel panorama della musica strumentale europea. Inserendosi a pieno titolo e con varietà di soluzioni artistiche negli ambienti musicali più importanti (a partire da Vienna e Parigi) e nella più illustre ricerca compositiva contemporanea, per poi diffondersi in maniera capillare nel tessuto musicale, culturale e sociale dell’Europa del tempo, anche attraverso l’attività di autori meno noti e periferici rispetto alla geografia musicale dominante. In processo in cui – e questo è l’aspetto più interessante – ha svolto un ruolo decisivo un’assidua, fluida, vitale e tutt’altro che stereotipata frequentazione della struttura della forma-sonata. Proprio quest’ultimo sorprendente risvolto rende questo studio imprescindibile e di forte impatto, proiettato com’è ben al di là dei confini del solo repertorio chitarristico, imponendo una globale riconsiderazione del mondo musicale a cavallo tra Sette e Ottocento, del fenomeno “forma-sonata” e delle sue teorie».
Roberto Brusotti, “Musica”, maggio 2024
«Per gli abbonati de Il Fronimo, il trimestrale chitarristico fondato da Ruggero Chiesa, la serie di articoli “Lo stile classico. La forma-sonata e i chitarristi dell’Ottocento” di Marco Riboni ha rappresentato per ben tre anni un appuntamento fisso e assai atteso. Quel progetto già ambizioso e interessantissimo, che abbracciava le più significative opere del repertorio chitarristico ottocentesco rispondenti ai canoni sonatistici classici, è stato ora espanso dall’autore a dimensioni davvero titaniche, comprendendo tutte le opere ad oggi conosciute per chitarra sola del Settecento e dell’Ottocento scritte in forma-sonata: estendendosi in pratica dalle tre Sonate in tale forma facenti parte delle Dodici Suonate per la chitarra di Giacomo Merchi (Londra 1766) alla Sonata manoscritta di Adam Darr (morto ad Augsburg nel 1866), per un totale di ben centosessantacinque opere di quaranta autori. Le partiture vengono analizzate nel dettaglio, sulla base di un impianto metodologico aggiornato e complesso (un riferimento dichiarato è il ponderoso Elements of Sonata Theory di Hepokoski e Darcy), esplicitato nell’Introduzione, che mette in discussione molti concetti base, come la definizione stessa di “stile classico” e soprattutto la “germanocentricità” dei modelli descrittivi (e prescrittivi) tradizionali della forma-sonata, che oggi appaiono sempre più opinabili. E proprio in questo senso il poderoso lavoro di Riboni riveste un interesse che va al di là del mero ambito chitarristico, in quanto evidenzia una volta di più come i vecchi schemi risultino ormai insufficienti per corrispondere a una realtà che al di fuori dello stretto ambito austro-tedesco (e non solo) era assai più varia e ricca di soluzioni, soprattutto nel caso di autori che possiamo ben definire “internazionali” come i chitarristi che, provenendo per la maggior parte da Italia, Spagna e Francia, operarono nelle grandi capitali europee, assorbendone lo stile ma anche apportando il prezioso contributo della loro cultura d’origine: in primo luogo i nostri Giuliani e Carulli. Dall’ampio studio la tassonomia sedimentata dei valori in effetti non risulta rivoluzionata: tuttavia, come giustamente scrive l’autore, “molti sono i brani che meriterebbero ampiamente di uscire dal silenzio”. Ora sta ai chitarristi e ai direttori artistici tradurre in realtà questo condivisibile giudizio».